L’ascolto

È solo una mia impressione oppure negli ultimi anni è aumentata la distanza tra chi parla e chi ascolta (o dovrebbe ascoltare)? Quante volte vi capita di sentire persone che fanno una domanda all’interlocutore su un argomento che gli è già stato spiegato solo qualche minuto prima? Ormai non ascoltiamo più, ci prepariamo a rispondere: appena il nostro interlocutore termina l’intervento, possiamo convincerlo delle nostre idee, quando con un attento ascolto potrebbe essere la nostra idea a cambiare. Questo è pericoloso nel mondo del business.Ci sono alcuni ruoli che sono naturalmente predisposti all’ascolto e quanto più è attento l’ascolto tanto più sono figure destinate al successo. Pensate ad un medico, ad un sacerdote, ma anche ad un commesso, un cameriere o un barista. In generale, però, difficilmente accade in un dialogo tra imprenditori, tra titolare e sottoposto, anche tra consulente e cliente. Il primo punto del mio progetto di consulenza è “ascoltare attentamente”. Secondo me, naturalmente, è giusto; però è riduttivo (sono stato costretto a sintetizzare) o, quantomeno, non del tutto corretto se ascoltare è inteso come sentire ciò che l’altro ha da dire. In realtà dobbiamo fare un grosso sforzo in più. Per riuscire a giungere ad un obiettivo che soddisfi entrambe le persone e che consenta di non irrigidire le proprie posizioni, a volte indifendibili, è necessario agire su due sottolivelli:

  • sentire ciò che l’altro NON dice e
  • interpretare le espressioni per capire se quanto ci dice corrisponda a ciò che vuole dire.

Nel primo caso dobbiamo tenere presente che chi abbiamo di fronte spesso dà molto per scontato, senza considerare che noi non abbiamo le sue conoscenze e competenze. Ascoltare bene la persona che abbiamo di fronte ci consente di fare le domande giuste e di dare le risposte corrette.

Nel secondo caso dobbiamo tenere presente che spesso il nostro interlocutore non intende aprirsi del tutto, in qualche caso si vergogna e tende a tenere nascoste informazioni che ci potrebbero aiutare ad agire nella maniera corretta. Questo silenzio però, che a differenza del primo è voluto e cosciente, può comunque essere interpretato attraverso l’analisi della comunicazione non verbale. Questa interpretazione sarà tanto più precisa quanto più saremo attenti agli atteggiamenti e comportamenti di chi abbiamo di fronte, soprattutto con il modificarsi delle espressioni facciali.

Ecco perché dobbiamo tornare al vero ascolto. Dobbiamo pensare che il successo nasce dall’integrarsi nel modo meno invasivo possibile con il mondo di chi abbiamo di fronte e che sostituire “l’ascolto” con il “prepararsi alla risposta” è il modo più sbagliato per farlo.

 

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